giovedì 27 marzo 2014

PROVINCE. LE BUGIE DI RENZO PINOCCHIO


Adesso è riordino. Domai potrebbe essere abrogazione. Le province dopo il voto del senato sono in coma. Non morte, così per ora costano come prima. E anche quando fossero cancellate, costeranno di più al contribuente.
Perché? Come hanno già spiegato tutti, dalla corte dei conti alla Bocconi, gli oltre 10,2 miliardi spesi per erogare servizi (trasporto locale, formazione professionale, viabilità, tutela ambientale, edilizia scolastica etc) saranno a carico di altre amministrazioni. Le province in questi anni sono state - dati alla mano - gli enti più risparmiosi. Dal 2010 al 2013, hanno ridotto dell’11,8% la spesa corrente, mentre comuni (+5%) e regioni (+1,14%) hanno continuato a spendere di più o lo faranno ancora. Costerà di più pure il personale.
Perché? I dipendenti sono quasi tutti a tempo indeterminato. Resteranno a carico delle future città metropolitane o passeranno ai comuni dove guadagneranno lo stesso, mentre i fortunati che andranno alle regioni costeranno al contribuente, a regime, il 22,5% in più.
Allora dove stanno i vantaggi? Solo propagandistici per il Pd di Renzi che può cavalcare la leggenda metropolitana del taglio delle province. “Avremmo un paese più semplice” ha detto il sottosegretario Del Rio. Lo dirà lui ai due terzi degli italiani, residenti fuori dalle metropoli, che per fare la stessa pratica dovranno percorrere decine di chilometri in più?
3000 politici smetteranno di ricevere una indennità dagli italiani. La volta buona”. Ha twittato Renzi, che però dimentica – come gli fanno notare il capogruppo M5S Maurizio Santangelo e il popolare Salvatore Di Maggio - l’esercito di 31.000 nuovi consiglieri e assessori comunali che ha creato con la stessa legge. L’on. Simona Bonafè, a Ballarò, ha addirittura quantificato in 600 milioni il risparmio. Fatta salva la buona fede della Bonafè, allora si tratta di ignoranza istituzionale grave. A pieno regime i costi politici delle province sommavano a 78 milioni di euro. Sempre troppi. Ma bastava ridurre il numero degli assessori a 4, nelle città metropolitane e a 2 nelle province, che si sarebbero risparmiati di botto almeno 25 milioni.
Sapete quanto costano i primi 10 top manager allo stato?
L’amministratore delegato di Saipem, Pietro Franco Tali, 6,94 milioni, l'ad di Eni Paolo Scaroni 6,77 milioni, Fulvio Conti dell'Enel con 3,97 milioni. Seguono Alessandro Pansa dg di Finmecanica 2,2 milioni, Moretti e il suo omologo di Anas, Piero Ciucci, 874.000 e 750.000 euro. Attilio Befera, gran capo di Equitalia e dell’Agenzia delle entrate, autodichiarava al fisco 772.335 euro. Il dg della RAI, Luigi Gubitosi, 650.000. Alessandro Pansa, solo omonimo dell’altro (Polizia) 621.000 euro. Mario Canzio (Ragioneria Generale) 562.000. E vi sto risparmiando Mastrapasqua ex INPS. Siamo oltre i 24 milioni. Se volete un po’ di flolklore aggiungo che i 12 dirigenti apicali dei cappellani militari di esercito e polizia guadagnano quasi 100.000 euro a tonaca. Qua quanto risparmieranno? 
Non si risparmia neppure sui costi elettorali. Perché leggendo bene le leggi in vigore, come quella di stabilità (n.147 del 2013) a maggio non si sarebbe andati a votare per nessuna provincia. Lo dice anche il decreto ministeriale del 20/3/2014, che convoca le elezioni solo per comuni e circoscrizioni. “Di fatto non si elimina nessun ente – spiega Loredana De Petris di Sel - ma se ne aggiungono”. “Si aumenta la burocrazia e si triplicano i costi” conclude Lucio Malan di Forza Italia. .

Complimenti. La #svoltabuona? Rottamare Renzi

 

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