mercoledì 9 settembre 2015

CONQUISTA IL TUO PUBBLICO: TEMPI E SPAZIO LE CHIAVI DEL SUCCESSO


Dieci consigli da un ex balbuziente per un public speaking efficace.

Sappi cosa dire
1- Parla di quello che sai. Prepara una scaletta essenziale: mnemonica o con foglietti per ogni punto che intendi affrontare

Ricorda che la partenza è la chiave del successo …
2- Scegli gli occhi di un interlocutore fra la folla. Poi passerai agli altri. Rendili protagonisti
3- La prima frase per fare centro deve colpire il tuo bersaglio in modo semplice. Senza piaggeria
4- Calca i primi suoni. Come se li volessi inculcare nella fronte degli astanti.

… ma è la persistenza che lo consolida
5- Usa la stessa cura con cui hai preparato la prima frase, per la seconda, la terza e così via. Anche la terza merita la medaglia d’oro, non solo il podio. L’ottava che dici non dev’essere una finalista, ma la frase vincente!

Impara che il tempo può essere fermato …
6- Non avere fretta. Scandisci ogni singolo fonema. Arrampicati sulle consonanti e stappa le vocali quando vuoi sottolineare un concetto. È come usare il grassetto o il sottolineato quando scrivi.
7- Le pause amplificano l’attesa. Creano suspense. Danno ritmo alla sincope. Mantieni, però, il contatto visivo e fisico con il tuo pubblico anche nei silenzi.

… ma il tempo dev’essere breve per mantenere alta l’attenzione
8- Evita giri di parole. Non usare esempi se non indispensabili. Ricorda che il soggetto non è chi parla ma chi ascolta, percepisci i suoi segnali di stanchezza o peggio di insofferenza. Elimina gli avverbi, limita gli aggettivi. Riduci all’essenziale le parole di ogni frase.

Conquista, dopo il tempo, lo spazio: è vitale!
9- Occupa ogni angolo, anche il più remoto, dell’ambiente. Usa il corpo, lo sguardo per portare non solo parole, ma empatia, per creare una relazione fisica con chi ti ascolta. Interagisci con loro: domande retoriche, ammiccamenti, ordini perentori. Decidi cosa, ma fallo.

Memorizza i punti focali della comunicazione
10- Tu sei l’emittente, chi comunica, il destinatario del messaggio – cosa vuoi dire – è il tuo pubblico. E siamo a tre. La parola, il linguaggio paraverbale (il tono di voce, il timbro, il ritmo) e non verbale ossia quello corporeo sono il canale attraverso il quale scorre il messaggio da te al destinatario. Il quinto punto è il codice che scegli. Nel caso del discorso la lingua: italiana se ti rivolgi ad un contesto nazionale, inglese o altra se l’ambito è straniero. Per parlare la devi conoscere, per conoscerla ti consiglio di leggere.

http://www.ibs.it/code/9788868545451/sirigu-renato/balbuzie?-grazie-una.html

sabato 1 agosto 2015

STREAMING. SERVONO TARIFFE PIÙ BASSE E MIGLIORE QUALITÀ


Se gli operatori di telefonia mobile offrissero più Gigabyte oppure piani tariffari con traffico dati illimitato a prezzi accessibili, farebbero esplodere un mercato sempre più avido di video.
Lo sostiene Gartner sulla base di un recente sondaggio condotto in USA e in Germania su un panel complessivo di 2.000 utenti di smartphone. Mille americani e altrettanti tedeschi. Gartner è una società americana di consulenza e ricerca nel campo dell’ICT.
In Italia le offerte, dopo l’anno di promozione, oscillano per 20 MB tra i 24,62 euro al mese di Infostrada ai 30 di Fastweb, che però propone la fibra ottica. In autunno lo sbarco di Netfix in Italia promette di cambiare per sempre il mercato e il consumo dei video. Il prezzo mensile sarà, in linea con quello degli altri paesi europei, intorno agli 8 euro.
La società di ricerca e di analisi di mercato prevede che il traffico dati generato da mobile toccherà i 52 milioni di TB (terabyte) nel 2015, con una crescita del 59% in un anno. Nel 2018 i consumi schizzeranno a 173 milioni di TB, il 60% generato dei quali dai video, precisa Gartner. Numeri che dovrebbero indurre i Communications Service Provider a confezionare pacchetti per la clientela in grado di garantire la migliore fruizione di video possibile.
I suggerimenti proposti nascono dalle previsioni e dai risultati ottenuti in seno al sondaggio condotto da Gartner stessa negli USA e in Germania. Mercati entrambi maturi, ma con tratti differenti utili per comprendere in che misura i piani tariffari disponibili incidano sulle abitudini degli utenti.
Il 38% degli intervistati in Germania dispone di 500 MB di traffico dati mensile e il 54% degli stessi preferisce attendere di trovarsi in una zona servita dal Wi-Fi per scaricare contenuti o fruirne in streaming, a fronte di una percentuale del 36% rilevata negli USA. Il che comporta, in Germania, una minore propensione degli utenti alla fruizione di video attraverso reti cellulari. I 20 MB medi proposti in Italia sono davvero roba da archeologia informatica. Anche se va aggiunto che la velocità effettiva dev’essere la più alta possibile. Vanno bene tutte le offerte sino a 20 Mb dei nostri provider: bisogna puntare però su quelli che offrono sul proprio territorio offerte in ULL (Unbundling Local Loop) che garantiscono una qualità della connessione migliore. Poco serve, infatti, poter disporre di linee veloci se poi il provider non dispone di sufficienti risorse.
In media, in Germania, gli utenti di servizi di telefonia mobile fruiscono di 10,6 minuti di contenuti video in streaming attraverso reti cellulari - contro i 17,4 minuti fruiti dagli utenti negli USA -sostiene la ricerca condotta da Gartner.
L’Italia si difende sulle percentuali. Nel 2013, secondo una ricerca Rovi, il 73% degli utenti visualizzava video in streaming su tablet almeno 2 o 3 volte alla settimana. Negli Stati Uniti erano solo il 66% degli utenti. Il consumo di video streaming varia molto da paese a paese: in Gran Bretagna vengono visualizzati soprattutto spettacoli e programmi Tv (il 33% degli utenti) mentre in Usa e in Germania sono più richiesti film (il 35% e il 30% rispettivamente).
Gartner suggerisce anche piani tariffari con data cap più generosi o con traffico dati illimitato. Gli operatori di telefonia mobile, inoltre, dovrebbero commercializzare anche soluzioni che consentano di visualizzare video senza consumare i GB a disposizione dei clienti.
Una soluzione potrebbe essere quella perseguita dall’operatore USA Verizon. Che sembra intenzionato a sostenere lo streaming di video con la pubblicità.

FILM. THE BEGINNING DEL FUTURO DELL’INDIA INCLUDE CINEMA E SPORT


Baahubali: The Beginning è il film più costoso mai realizzato in India, ma non è stato girato a Bollywwod, nemmeno a Tollywwod, casa del cinema Telegu dell’Andhra Pradesh, ma nel profondo sud a Chennai, l’ex Madras di inglese memoria. È costato 39 milioni di dollari, ma nelle prime tre settimane di programmazione ne ha già incassati 92,6 solo in India. È stato distribuito in 4000 sale e ora si prepara a sbarcare in tutto il mondo. Per ora esistono le versioni in lingua tamil, Telegu, hindi, malayalam, ma la versione inglese sta andando benissimo anche negli Stati Uniti.
Siamo lontani dagli incassi di Avatar, costato 237 milioni nel 2009, leader mondiale incontrastato con due miliardi e 788 milioni di dollari ai botteghini. Ma cosa significa tutto ciò? Che l’India sta marciando a rimi sempre più spediti e a differenza della Cina è legata all’occidente per lingua, prospettive e aspirazioni della sua borghesia. Ancora nel 2007 la middle class indiana era formata da 50 milioni di persone. Oggi secondo Deutsche Reasearch è cresciuta a 300 milioni e su questo trend il suo potere d’acquisto salirà entro la fine dell’anno dal 4,7 al 6,1% della quota mondiale. Raddoppiando nei numeri, secondo NCEAR nei prossimi dieci anni. Questo significa, anche, avvicinare negli indicatori macroeconomici i numeri Cina, Unione europea e USA. Con una significativa presenza di minoranze, attive, proprio negli Stati Uniti in Gran Bretagna e ora anche in molti distretti produttivi dell’Europa continentale. In Italia oltre Roma, dove sono quasi 10.000, gli indiani sono attivi nella zona di Suzzara e nel bresciano.
Lo sport nazionale degli indiani è il cricket, ma quello di cui vanno più fieri è l’hockey. Per la tradizione di successi olimpici. Interrotta nel 1980. Però a Rio per la prima volta da allora presenteranno alla fase finale sia la squadra maschile che quella femminile. In India si gioca, solo un mese all’anno in febbraio, la lega professionistica più importante al mondo l’Indian League.
Perché dico questo? Perché se il “modello India” sfonda nel cinema, s’impone nell’economia la sua penetrazione mediatica potrebbe raggiungere livelli di audience simili a quelli americani. Che nei decenni hanno propagandato sport come baseball, football, ice hockey e basket NBA. L’India potrebbe esportare hockey, non solo come sport ma come prodotto mediatico favorendone la crescita, l’interesse degli sponsor con grande vantaggio per l’hockey europeo ed italiano.

 

 

 

 

sabato 25 luglio 2015

GIORNALISTI. LA SCIALUPPA ARRIVA DAI PARIA DEGLI UFFICI STAMPA


La salvezza per l’INPGI, ma anche per la categoria, sta negli uffici stampa. Il lavoro sul web, forse, pagherà domani. Da tempo grazie alla legge sulla comunicazione pubblica (L150/2000) sarebbe stato possibile recuperare molte posizioni contributive. E sarebbero state molte di più e meglio retribuite se non ci fosse stato un atteggiamento miope da parte di sindacato (FNSI), categoria (ONG) e ente di previdenza (INPGI) sui contratti.
Se ne accorgono ora degli uffici stampa. Lo scrivevo già nel 2000, dopo il varo della legge 150 sulla comunicazione pubblica. Lo ribadivo nel 2010 sul mio manuale “Il comunicatore pubblico”, prima della crisi e dei danni fatti dal binomio Monti Fornero.
Allora sarebbe stato possibile creare dai 12 ai 15 mila nuovi posti di lavoro. Cifra al ribasso tenuto conto che nel 2006 uno studio del “dipartimento della funzione pubblica stimava in 40.000  i posti ipotizzabili ancora vacanti, fra uffici stampa e urp” (fonti Sirigu, R – Il comunicatore pubblico e Galullo, R – La comunicazione nell’ente locale)
Una maggiore attenzione al problema – fuorviata dal comportamento del GUS nazionale – avrebbe permesso una trattativa sindacale seria con l’ARAN (agenzia negoziale delle pubbliche amministrazioni) per equiparare il contratto degli uffici stampa a quello Fieg/Fnsi anziché giocare al ribasso con l’inquadramento nella fascia C (ministeri) e D (enti locali). Con la distorsione che in molte regioni – in virtù della loro potestà legislativa -  regioni si applica il contratto Fieg/Fnsi e nella altre P.A. no.
Oggi si plaude al lavoro, benemerito dei 18 ispettori INPGI che stanno recuperando qualche decina di posizioni contributive all’anno.  In un decennio, dal varo della direttiva Maroni sull’obbligo dei versamenti all’INPGI per i giornalisti pubblici e soprattutto dal disatteso obbligo previsto dalla L.150 di assumere solo giornalisti – contrattualizzandoli secondo dignità - si è persa l’occasione storica di mettere in cassaforte il futuro della categoria. Grazie agli uffici stampa.
Anche solo diecimila nuovi posti avrebbero sanato il problema del precariato. Poi, sarebbe stato possibile, senza la pressione della contingenza, avviare un processo di ammodernamento dei criteri di accesso alla professione. Per evitare nuove masse di precari a cui non si riesce a dare risposta. Infine, si sarebbe messo in sicurezza, altro che stress test della Fornero, il sistema previdenziale.
Di chi le responsabilità? Di una classe dirigente spocchiosa che ha trattato gli uffici stampa, e i colleghi che lì lavorano, come paria. Salvo oggi mendicare qualche regolarizzazione.

martedì 5 maggio 2015

FACEBOOK, COME GOOGLE, FA PACE CON GLI EDITORI E ATTACCA YOU TUBE


Il 60% del traffico verso i primi siti di informazione parte proprio dal social network di Mark Zuckerberg. Lo confermava già lo scorso anno un sondaggio di Pew Research che rilevava che quasi la metà degli intervistati legge notizie di politica e di governo direttamente su Facebook.
Sino ad oggi gli utenti non accedono direttamente al contenuto. Cliccano su un link esterno che li porta sul sito in questione. Un’operazione che fa perdere almeno otto secondi, a volte anche di più se si è collegati da un dispositivo mobile, e questo purtroppo scoraggia molti lettori che rinunciano a leggere notizie che magari erano considerate interessanti.
Il nuovo servizio si chiama Instant Articles e dovrebbe partire a fine mese. L’azienda nata a Harvard nel 2004 ha già siglato una partnership con il New York Times, National Geographic e Buzzfeed. Ma ce ne sono anche altri. L’accordo prevede che i contenuti vengano pubblicati interamente sulle pagine di Facebook.
Non tutti gli editori apprezzano l’iniziativa. Il sospetto è che si stabilisca un’eccessiva dipendenza dalla rete sociale e preferiscono puntare maggiormente sulle loro app come porta di ingresso principale ai loro siti.
Per convincerli a stringere questo patto, la compagnia di Zuckerberg ha proposto la condivisione delle entrate pubblicitarie. Le modalità però non sono state ancora precisate. Ai media potrebbero andare tutti gli introiti pubblicitari o una parte, si parla di circa il 70%, se il social si facesse carico di vendere la pubblicità. Facebook spera così che gli utenti passino sempre più tempo sulla piattaforma.
Facebook potrebbe cambiare il proprio algoritmo per favorire le notizie dei media partner, allora anche ai recalcitranti toccherà seguire questa via.
Google, la scorsa settimana, ha giocato d’anticipo sul mercato europeo con il progetto Digital News Initiative, una forma di collaborazione con editori europei per sostenere il giornalismo digitale.
Lo stanziamento è 150 milioni di euro per progetti con un nuovo approccio al giornalismo digitale. Destinatari sono gli otto partner fondatori: Les Echos (Francia), FAZ (Germania), The Financial Times (Regno Unito), The Guardian (Regno Unito), NRC Media (Paesi Bassi), El Pais (Spagna), La Stampa (Italia) e Die Zeit (Germania), con altre organizzazioni che si occupano di giornalismo tra cui lo European Journalism Centre (EJC), il Global Editors Network (GEN), l’International News Media Association (INMA).
Facebook intanto muove all’attacco di You Tube: “Questo trimestre abbiamo raggiunto un nuovo traguardo con oltre 4 miliardi di video visti al giorno”, ha detto con soddisfazione Zuckerberg.

martedì 10 marzo 2015

EDITORIA. DALLA FRANCIA UN ASSIST PER FAR PAGARE GLI OVER THE TOP


 

Hollande meglio di Zidane o Platini. A capo di una squadra di 10 economisti il presidente francese stringe il pressing sulle Web company.
Mentre in Italia il governo Renzi resta indeciso sul da farsi, con giornalisti ed editori che premono per misure almeno sul caso Google News e la Guardia di Finanza continua a indagare sul gigante di Mountain View, la Francia passa ai fatti.
La squadra transalpina si chiama France Stratégie, un team voluto dal primo ministro per studiare come tassare gli Over-The-Top (Google, Apple, Facebook e Amazon). Insomma come andare in gol e salvare la classifica, leggi casse dello stato, stilata dalla agenzie di rating.
I giganti del web sfruttano meglio delle industrie tradizionali le debolezze dei sistemi fiscali nazionali o gli accordi bilaterali grazie al carattere immateriale delle loro attività.
I dieci economisti nel rapporto scrivono di una tassa sul valore delle revenue pubblicitarie realizzate dalle web company nei paesi dove operano. Perché dal 1° gennaio le nuove norme Ue sull’e-commerce diretto prevedono l’applicazione dell’IVA con l’aliquota del paese dell’acquirente e non del venditore come succedeva prima. Cosa che aveva spinto molte multinazionali a spostarsi in Lussemburgo o in Irlanda dove l’IVA è più bassa.
Il rapporto propone anche una possibile tassa calcolata sul numero degli utenti di una piattaforma (internauti e inserzionisti) o sul flusso dei dati. L’aliquota sarà più elevata per le aziende che sfruttano i dati personali degli utenti rivendendoli o conservandoli per le pubblicità mirate. Più moderata invece l’aliquota l’e-commerce.
L’ottimizzazione fiscale riguarda la tassazione dei profitti ma anche le transazioni digitali, difficili da localizzare, cosa che complica la riscossione dell’IVA.
Francis Bloch, della School of Economics di Parigi, prevede che le misure suggerite “potrebbero avere un effetto positivo determinando una diminuzione dell’uso dei dati personali” e potrebbero spingere le piattaforme a far pagare agli utenti i servizi senza pubblicità o, al contrario, remunerarli per l’uso dei loro dati.
Le nuove norme potrebbero essere adottate a breve e c’è l’aspirazione che vengano prese come riferimento da un nucleo di paesi senza attendere la riforma del quadro fiscale internazionale.

giovedì 5 marzo 2015

Editoria. Scure sul taglio dell’IVA applicata agli e-book


 


Gli e-book potrebbero costare di più. Aumenteranno sicuramente in Francia e Lussemburgo. Tutto per una sentenza della corte di giustizia europea che condanna i due paesi transalpini per il taglio operato sulla tassa
La corte di Strasburgo ritiene che l’articolo 98 della direttiva Iva 2006/112/Ce consenta agli stati membri di applicare aliquote ridotte solo ai beni e servizi indicati nell’allegato III alla direttiva.
Ai libri cartacei, erano stati aggiunti ampliati quelli forniti "su qualunque supporto fisico", senza riferimenti a quelli commercializzati su internet. L’esclusione degli e-book dalla categoria dei beni o servizi con aliquota ridotta è stata poi rafforzata dall’introduzione di una nuova scrittura all’articolo 98 secondo cui “le aliquote ridotte sono in ogni caso escluse per i servizi forniti elettronicamente”.
L’Italia si trova ora sotto scacco. Ha abbattuto al 4% l’Iva sui libri elettronici a partire dal 1° gennaio 2015, applicando la teoria che la norma nazionale non modifica l’elenco di beni soggetti a Iva agevolata ma, riconduce tutti i libri, compresi gli elettronici, ad un’unica categoria. Senza discriminanti.
La corte di Strasburgo però ha stabilito che l’e-book necessita sì di un supporto fisico per essere letto, per esempio un computer, ma “questo supporto non è fornito insieme al libro elettronico” e l’allegato III non include nel suo ambito di applicazione la fornitura di questi libri.
Gli editori europei si sono rivolti subito a Juncker perché intervenga sulla direttiva. In una lettera aperta, firmata anche dal presidente dell’associazione italiana editori (Aie) Marco Polillo, al presidente della commissione, al presidente del parlamento europeo Schultz e al presidente del consiglio europeo Tusk si chiede di intervenire “sulla direttiva comunitaria per eliminare la stortura che penalizza lo sviluppo del libro e della lettura nell’intero continente. Noi, rappresentanti del mondo del libro, siamo fermamente convinti – continua la lettera – che il valore di un libro non dipenda dal suo formato o dal modo in cui i lettori vi accedano. Un’iniziativa della commissione in questa direzione si inserirebbe nel suo programma di lavoro in cui si afferma che “le barriere al digitale sono barriere all’occupazione, alla crescita e al progresso”.
La Francia applica una aliquota del 5,5% sugli e-book e il Lussemburgo del 3%. Pare che l’UE, sospinta da una decina di paesi, non voglia tener conto dell’evoluzione del mercato.

lunedì 2 marzo 2015

SE LE LAVATRICI CONSUMANO MENO E MEGLIO



Nel Ponente genovese sulle colline fra Pegli e Pra negli anni Ottanta venne costruita una diga di palazzi “social housing” che per i suoi oblò, che volevano ricordare il mare, venne ironicamente chiamata le lavatrici. Ora quell’edilizia popolare a basso costo e ancora più bassa qualità viene associata ad un progetto europeo di studio e applicazione di interventi per l’efficienza energetica, co-finanziato dall’Unione Europea (Settimo Programma Quadro) e fa parte del progetto “Genova Smart City”.
Con le Lavatrici di Prà, zona nota una volta per i suoi orti e il basilico da pesto alla genovese, gli altri siti prescelti sono Kartal, un quartiere di Istanbul e Valladolid.

L’obiettivo programma europeo R2CITIES (Renovation of Residential urban spaces: Towards nearly zero energy CITIES) è individuare e sperimentare soluzioni, economicamente sostenibili e facilmente replicabili, capaci di ridurre il consumo energetico e le emissioni di CO2 in tipologie diverse edifici o distretti urbani residenziali
Si tratta di soluzioni passive e “low-cost” per ottimizzare risorse disponibili come sole, ventilazione e illuminazione naturale.
ABB Italia azienda con sede anche a Genova Sestri Ponente, partner tecnologico, contribuisce con prodotti di “building automation” applicati a singoli appartamenti, all’impianto fotovoltaico, per l’alimentazione dei quadri elettrici della nuova centrale termica, fino ai sistemi di automazione e controllo per la rilevazione in tempo reale delle condizioni climatiche.
Tutto questo per arrivare alle zero energy cities cioè energia a Km 0. Ridurre i consumi e minimizzare gli sprechi, promuovendo interventi di efficienza energetica a tutti i livelli: illuminazione pubblica e massimizzando l’utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili, evitando la dispersione, favorendo l’autoconsumo e l’accumulo di energia ed infine responsabilizzando i cittadini nella gestione della rete, con la possibilità di modulare i propri consumi a seconda della disponibilità di energia.
Questo da proiettare in una città come Genova di 600.000 abitanti e un consumo energetico di oltre 8 milioni MWh all’anno. Con l’obiettivo di garantire ai cittadini un beneficio pratico legato all’intervento cofinanziato che, per il complesso delle Lavatrici, consiste nella realizzazione di un nuovo impianto termico, un impianto fotovoltaico e un sistema di domotica per l’automazione e ottimizzazione del consumi.
Maggiori sono i benefici potenziali legati ai risultati messi a disposizione del Comune che potrà valutare costi e ritorno dell’investimento per l’applicazione su larga scala delle tecnologie e soluzioni sperimentati nel corso del progetto.

domenica 1 marzo 2015

UN BUONO SPESA PER CHI COMPRA LIBRI. È UNA BUONA IDEA?


 

Basterà la paghetta? Come spesso accade quando un settore è in crisi chiede l’aiutino alle casse di mamma Stato. Questa volta è la Filiera della carta un’associazione, che raccoglie gli editori di libri, giornali, periodici specializzati, l’industria meccanica per la stampa, i cartai, i grafici, (Acimga, Aie, Anes, Argi, Asig, Assocarta, Assografici e Fieg), a chiedere al governo un “bonus lettura”.
Il buono spesa consentirebbe ai giovani tra i 18 e 25 anni di acquistare libri e abbonamenti a quotidiani e periodici, pagando solo il 25% del prezzo, il restante 75% verrebbe pagato con il bonus fino ad un massimo del contributo pubblico di 100 euro a persona.
Andrea Marcucci, presidente della commissione istruzione pubblica e beni culturali del Senato, nella sua passerella, ha assicurato i presenti che “ci sono le condizioni per andare nella direzione auspicata dalla Filiera coniugando la competizione economica con quella qualitativa. In questo modo - ha concluso - si possono creare le condizioni affinché il sistema Paese si impegni con forme di sostegno della lettura che premino la qualità nella informazione e nella formazione”. Poi ci sarà da capire cosa ne pensino Renzi e Padoan.
La crisi non è solo italiana, dal 2007 a oggi, i lettori nella UE sono calati dal 71% al 68%, ma è soprattutto italiana. Nel Bel Paese, oltre 800.000 persone sono uscite dal mercato librario, più della metà della popolazione legge meno di un libro all’anno, quasi due milioni di persone hanno smesso di leggere abitualmente un quotidiano e tre milioni e mezzo milioni di italiani un periodico.
Un tale scenario è solo in parte imputabile alla crisi economica generale. È l’effetto di una sempre più ridotta offerta culturale rispetto agli altri beni. Più che il bonus lettura andrebbe pensato un piano per il rilancio dell’offerta della qualità culturale.

 

martedì 17 febbraio 2015

GIORNALISTI. SOTTO DOPPIO ATTACCO: MALAVITA E POLITICA CONTRO LA LIBERTÀ DI STAMPA


 
 Tempi duri per i giornalisti. Una classifica internazionale (Reporter sans frontières) precipita l’Italia dal 49° al 73° posto su 180 paesi monitorati. Dietro la Moldavia e davanti al Nicaragua. Non come pensano molti per scarsa obiettività o incapacità professionale dei cronisti italiani. L’opposto: il motivo sono censura, angherie, soprusi, sino al carcere, subite dai giornalisti in Italia. Insomma cornuti e mazziati.
Purtroppo, sono già 24 i cronisti italiani minacciati nei primi 45 giorni del 2015. Proprio le minacce, le aggressioni, le intimidazioni, l’abuso di querele per diffamazione a scopo intimidatorio patite dai giornalisti italiani sono i punti messi a fuoco dalla classifica si Rsf. Lo stato di salute riguardo la libertà di stampa è molto precario quindi, non tanto per il conflitto d'interessi.
In più ci si mette anche la politica. Una norma nata per eliminare la pena spropositata del carcere per i giornalisti – come ha chiesto l’Europa - introduce sanzioni sproporzionate: multa di 50.000 euro, diritto incontrollato di replica e diritto all’oblio immediato. Pene che otterranno l’effetto di limitare la libertà di espressione.   
Basta, invece,  modificare la norma introducendo il reato colposo di diffamazione e mantenendo l’ipotesi dolosa solo per quei casi in cui il giornalista ha operato con malafede. Dove è giustificata una pena severa.

Dal 1 gennaio 2015 il contatore delle minacce ha avuto un incremento di 47 unità (24 di quest’anno e 23 precedenti ora venuti alla luce), così il totale ha raggiunto quota 2192. Secondo le stime di Ossigeno, sito indipendente, che offre una mappatura delle intimidazioni ricevute, "dietro ogni intimidazione documentata dall'osservatorio, almeno altre dieci restano ignote perché le vittime non hanno la forza di renderle pubbliche". Tra gli ultimi casi riportati, l'incendio dell'auto di Ambrogio Conigliaro, giornalista e candidato sindaco a Carini (PA) del movimento 5stelle che ha scritto della gestione dei rifiuti.

venerdì 13 febbraio 2015

TASSE. LE BUGIE DI RENZI VIAGGIANO SENZA ASSICURAZIONE AUTO


L’assicurazione auto è gravata dalla tassa provinciale. L’aliquota base è del 12,5%, ma quasi tutte le province l’hanno portata al tetto massimo del 16%. Che si ripercuote sull’aumento del premio. Così il costo medio di 411 euro sale a 520. Mangiandosi quasi tutta la riduzione dovuta al forte calo di sinistri: - 3,7% rispetto al 2012, quello dei feriti del 3,5% mentre i decessi arretrano del 9,8%.
Dall’unione consumatori (UNC) arriva un appello al Governo: “Visto che stanno eliminando le province, non si capisce perché non siano eliminate anche le tasse che oggi servono a finanziarle”.
Qua sta l’inghippo. Le provincie non stanno per essere soppresse. Continuano, tutte, senza organi eletti. Ma tutto il resto dell’apparato resta e costa. La tassa sull’assicurazione auto assieme all’IPT, altra tasse sull’automobile, è una delle principali entrate. Per questo tutte le province, comprese le 10 diventate città metropolitana - ma che è la stessa cosa, hanno portato al massimo la percentuale. Sino a quando c’era un consiglio eletto si poteva sperare di fare pressione sui politici. Adesso con l’elezione di secondo livello, viene a mancare anche questa minima possibilità.
L’abolizione delle province è una delle promesse raccontate ma poi disattese dal governo Renzi e dalla sua strana e variabile maggioranza. Se non ci credete fate subito una ricerca e digitate www.provincia.[nome della vostra provincia].it e vedrete dal sito che è viva e vegeta. Nello stesso palazzo di prima.







 
 
 

lunedì 9 febbraio 2015

GOVERNO RENZI. LUCE GRATIS PER TUTTI …. CIOÈ FORSE UN 3% MENO


Hai vinto una Ferrari, ehm cioè … un monopattino. È quello che racconta il ministero per lo sviluppo economico. Il comunicato stampa parte così: “Risparmi per quasi 2,7 miliardi sulla bolletta elettrica, di cui circa 1,7 miliardi a beneficio delle piccole e medie imprese. Il rimanente miliardo a favore dei consumatori”. Quello fra virgolette lo scrive il ministero.
Ecco resta un miliardo. Gran bella cifra, però … “nel dettaglio il minore esborso determinato dal taglia bollette per le famiglie sarà pari a 313 milioni”.
Come sono spariti già altri due terzi? Sì perché “ulteriori misure varate impatteranno positivamente per 771 milioni sulle aziende e per 694 milioni sui consumatori”. Come? Non si sa. Il ministro non lo spiega.
Però aggiunge: “La manovra dispiegherà i propri effetti complessivi, con gradualità, nel corso del 2015”. Come dire cominciamo poco alla volta. “I consumatori beneficiano inoltre del calo dei prezzi dei combustibili impiegati per la produzione elettrica e di una riduzione del costo del dispacciamento”. Gliel’hanno detto al ministero che il petrolio è tornato a salire? Forse il governo non lo sa, mica la pagano la benzina. Loro.
Il dispacciamento non è quello che pensate. Significa che tante energia esce per i consumi e tanta ne deve rientrare negli impianti produttivi.
L’autorità per l’energia elettrica e il gas stima - bontà sua - che i due fenomeni (calo petrolio e dispacciamento – NR) incideranno sulla spesa di una famiglia tipo (3 kW di potenza impegnata e consumi pari a 2700 kWh/anno) per circa il 3% nel primo trimestre.
Le famiglie sono circa 22 milioni, se il risparmio globale è di 313 milioni di euro sono 14,2 euro a famiglia all’anno. Le bollette sono 6 ecco che se siete nella media, ci escono due caffè a bimestre. Non a testa a famiglia. Paga il governo Renzi.
Insomma dai 2,7 miliardi ai 14,2 euro è peggio che dalla Ferrari al monopattino.

COMUNICATORE CERCASI. CONCORSO PUBBLICO CON TRABOCCHETTO


 
 


Un posto da funzionario in una pubblica amministrazione oggi è grasso che cola, anche se lo stipendio lordo annuale non è da urlo – 27.000 euro – è sempre meglio che un posto precario al call center.
Il comune di Lissone, in Brianza, cerca un Funzionario per la Comunicazione e le relazioni con il pubblico. Lo rende noto il sito di Franco Abruzzo, specializzato in informazione giornalistica. Il bando però non richiede l’iscrizione all’ordine dei giornalisti perché non si tratta di ufficio stampa. Richiede la laurea in scienze della comunicazione, in relazioni pubbliche e altre lauree con indirizzi assimilabili. E qui parte il primo dubbio. Perché assimilabili non significa nulla, le lauree o sono equipollenti o non sono.
Le lauree equipollenti, questo il termine corretto - ma la burocrazia non solo è arzigogolata ma spesso imprecisa - a scienze delle comunicazione sono: scienze politiche e sociologia. Infatti i laureati in sciente della comunicazione possono essere definiti anche sociologi della comunicazione.
La dicitura assimilabile, riportata nel bando del comune di Lissone, pare un trabocchetto. Perché non precisa l'identità stabilità per legge (equipollenza, equivalenza), ma rimanda ad una più vaga similarità. Siccome il bando ha valore di legge, questo lascia spazio di manovra alla commissione esaminatrice.

Altra stranezza è la brevità dei tempi. Il bando è uscito il 7 febbraio e il termine per la presentazione delle domande è il 19. Comunque vale la pena di provare.
I dettagli sul sito qui sotto.
http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=16852
 


 

 

LE NUOVE QUALIFICHE NELLE REDAZIONI DELL’ERA DIGITALE.


L’editoria è uno dei campi della cultura e della produzione tradizionale dove il digitale ha inciso maggiormente. La velocità con cui viaggiano le informazioni ha superato quella della luce. Quando inserisco una news sul mio blog a Genova, nello stesso istante si può leggere ad Auckland, agli antipodi. Questo cambiamento epocale impone all'editoria la ricerca di un nuovo modello di business e nuove qualifiche professionali in grado di gestire le redazioni del futuro. Hanno ancora senso le vecchie qualifiche: caporedattore, caposervizio esteri, economico?
Nel gruppo Gannett, 81 testate sperse per gli States, sono comparse nuove qualifiche professionali fra cui: content coaches (si concentra sulle storie più importanti, delicate e complesse), community content (analizza le esigenze del pubblico e procura contenuti per tutte le piattaforme), engagement editor (massimizza l'impatto della storia sulla community e sulla stampa, ha competenze in social media, marketing e organizzazione di eventi).
L’olandese De Correspondent, fa scegliere agli stessi redattori e definizioni delle loro funzioni, che caratterizzano meglio il lavoro del giornalista, come ad esempio: corrispondente per il progresso (scrive sul modo con cui il mondo migliora ogni giorno), corrispondente per la privacy e la sorveglianza, corrispondente per le persone speciali.
“Questi titoli sono importanti perché rafforzano la mission che il giornalista si è scelto per sé stesso - spiega il direttore della testata Rob Wijnberg - Il titolo Editor-in-chief viene dato a tutti i redattori, perché gli spiego che sono redattori-capo del proprio blog. Cosa che rafforza la responsabilità: non scrivono per la piattaforma, ma per il proprio pubblico".
Le vecchie definizioni come ''redazione esteri'', ''redazione economica” riflettono il mondo degli anni '70 e '80, quando i paesi, i confini, e le economie nazionali contavano molto più del mondo globalizzato.
“I giornalisti tendono ad usare questi nomi come frontiere professionali – continua Rob Wijnberg - Scriviamo solo di economia perché "noi" siamo il desk economico; "noi" non scriviamo su questo, perché accade in un paese straniero, ecc. In questo modo si stimola una visione a tunnel. Volevo che giornalisti non economici scrivessero di economia e corrispondenti esteri scrivessero anche sull'Olanda".
A Quartz, la testata aperta tre anni fa, le qualifiche dei giornalisti variano dal tradizionale lifestyle reporter al più innovativo ideas editor senza perdere di vista le nuove frontiere di director of sales, global marketing e event manager.
Gideon Lichfield, l’economista che ha contribuito a modellare Quartz, racconta: “Ora sono senior editor, cioè supervisore delle riunioni quotidiane e guardiano dello stile di casa. Controllo il direttore creativo, il team ''Things'' (interattività e data journalism), e varie altre cose. Le nostre qualifiche servono più come segnaposti che come descrizioni effettive”.
Robert Rosenthal, ex direttore del Philadelphia Inquirer, ha sperimentato un nuovo modello al Center for Investigative Reporting: "Cinque anni fa ci siamo inventati il ruolo di direttore della diffusione e capo degli specialisti nel coinvolgimento dei lettori. Abbiamo cominciato a pensare a nuovi termini quando assumendo creavamo posti di lavoro che non esistevano nei giornali tradizionali".
Per le nuove redazioni digitali il primo passo, secondo il pensiero di Rosenthal, Lichfield e gli altri, è pensare a quello di cui si ha bisogno prima di assumere persone con nuovi profili. Assicurarsi che abbiano le competenze per fare quel lavoro. Tutti in redazione devono capire quello che fanno e il valore per la testata. Insomma, come a De Correspondent, tutti capiredattori del loro blog.

venerdì 6 febbraio 2015

TELEMARKETING. STOP ALLE TELEFONATE MOLESTE


Non vuoi più ricevere proposte d’acquisto per vini, olio, pentole, pillole miracolose o le più tenute super offerte telefoniche? La soluzione c’è. Da parecchio tempo, ma lo sanno in pochi. Se vuoi porre fine al telemarketing selvaggio hai una possibilità a prova di legge. Meglio di decreto del presidente della Repubblica. Vai sul sito www.registrodelleopposizioni.it del ministero per lo sviluppo economico e iscriviti come abbonato al registro. Non sarai più contattato dai call center e dagli operatori di telemarketing. In caso contrario varrà il principio del “silenzio assenso” cioè continuerai a ricevere le fastidiose telefonate.
Il tuo numero telefonico sarà inserito in un anti elenco: un elenco telefonico al contrario. Il rifugio di chi non vuole essere seccato al telefono con promozioni commerciali. Le aziende hanno l’obbligo di consultarlo e di evitare i numeri presenti.
Sul sito troverai tutte le informazioni per aderire all’iniziativa on-line, per raccomandata, posta elettronica, fax o per telefono. Questa è la risposta.

martedì 3 febbraio 2015

INTERNET: CHI SALE, CHI CRESCE E CHI FA BOOM


Ogni minuto del 2014 oltre tre miliardi di persone hanno usato internet facendo superare per la prima volta la soglia del 40% della popolazione mondiale. Cioè 316,3 milioni di uomini, donne, adolescenti, bambini in più rispetto al 2013: una massa pari all’intera popolazione degli USA. Questo ogni 60 secondi!
Gli incrementi più sensibili riguardano le forme non scritte. Testi diversi da quelli alfabetici. Il campione assoluto è You Tube che praticamente raddoppia i suoi upload (i caricamenti di video sulla piattaforma) con una crescita del 197%. Cioè ogni minuto si caricano 306 ore di girato. Il rapporto è di 1 a 18.360. Tutti gli abitanti di Sestri Levante devono collegarsi contemporaneamente in continuo per non perdere nulla di quello che viene caricato
La medaglia d’argento la conquista Instagram con una crescita del 76,3%. Ogni secondo vengono caricate 1.117 immagini. Se vi sembrano poche pensate che ogni ora sono oltre 4 milioni. Significa che non facendo altro per 16 ore al giorno, tutti i giorni dell’anno avreste solo 5 secondi da dedicare a ciascuna di loro. Dopo le immagini il terzo posto del podio va ai suoni. Infatti è Spotify a crescere del 55.5% rispetto al minuto standard del 2013. 14 canzoni aggiunte ogni minuto, visto il tempo medio di durata di ogni brano, ci vorrebbero tre o quattro vite per ascoltarle tutte.
Solo ottavo in questa classifica di incrementi Twitter, il primo social testuale, che sale percentualmente del 24,78 con twitt inseriti ogni minuto. Chi cresce meno sono le due piattaforme più mature e corpose. L’e-mail, la più antica aumenta, le sue spedizioni del 7%, ma sono la cifra incredibile di 136.319.444 i messaggi postati ogni minuto. Ogni essere umano invia più di un’mail all’ora! Anche quando dorme.
Le ricerche su Google crescono meno dei fatturati. 1,9%. Ma pensate che sono 4.190.000 al minuto. Una roba impensabile da gestire qualche decennio fa. Ma qui infatti stiamo parlando di minuti. Intanto che ho scritto il pezzo un pezzo del nostro mondo è già cambiato.

 

Fonti: key4biz, techspartan.com.uk, ststista.com, radicati.com, google.com/trend/, internetwordlstats.com, pewinternet.org, statisticsbrain.com



 

giovedì 15 gennaio 2015

2014: MENO LETTORI, PIÙ LIBRI, MENO CONCORRENZA, QUALCHE NOVITÀ



 

Rispetto al 2013, la quota di chi ha letto almeno un libro è scesa dal 43% al 41,4%. Eppure, nel 2014, i 1.658 editori italiani hanno stampato 170 titoli ogni giorno, molti dei quali non sono arrivati neppure agli scaffali. La grande distribuzione è in mano a due unici soggetti: Messaggerie e PDE del gruppo Feltrinelli. Più altri due consorzi regionali. Non bastasse, l’AGCOM il 4 dicembre 2014 ha dato il via libera ad una joint venture fra i due colossi. Come faranno ora i piccoli editori ad arrivare in vetrina? E con loro le migliaia di esordienti che non trovano spazio nelle major editoriali e si affidano alle edizioni di nicchia?
Nel frattempo, a fianco, degli editori che si assumono il rischio d’impresa, sono sorti una miriade di imprenditori che più che intraprendere prendono. Cioè chiedono all’autore un contributo per sostenere le spese di stampa della sua opera. Questa nuova categoria viene chiamata nel settore EAP: editori a pagamento.
Il sito “rifugiodegliesordienti” ha censito 972 editori, di cui 162 testati, quasi tutti EAP. Attraverso un grande sondaggio fra gli autori assegna delle faccine, sorridenti o tristi, in base alle esperienze raccontate.
D’altro canto Writer’s Dream, altro sito cool nel settore, ha compilato una lista di 300 editori free, cioè che non chiedono contributi. Insomma due mappe che rappresentano realtà diverse, ma che consentono agi autori, specie agli esordienti, di districarsi nel mare incognitum o nel gurgite vasto in cui rischiano di finire come non troppo rari nantes.
Se la grande industria libraria si nega agli esordienti, la piccola e media editoria, subissata di richieste, ha tempi biblici per rispondere e comunque ha difficoltà ad imporre i nuovi autori sul mercato. Resta allora l’EAP?

Già nel 2010, Marco Polillo presidente della AIE, l’associazione degli editori che aderisce a Confindustria, diceva “L’editoria è una cosa: nel senso che l’editore fa questo mestiere rischiando del suo, perché crede nel prodotto che fa e porta al pubblico attraverso librerie e grande distribuzione i testi che edita. L’editore a pagamento in realtà è uno stampatore, non è in grado di mettere in distribuzione i libri che stampa, al massimo mette alcune copie presso librerie amiche, ma non è distribuzione quella”.
È anche vero che nel frattempo le cose sono cambiate. Ad esempio il gruppo Albatros, recensito con molte faccine allegre anche dal “rifugio” offre servizi pari, se non superiori, a molti editori free.
Ma chi non vuole pagare cosa può fare? L’ultima frontiera è il self publishing. Il prototipo del quale venne presentato vent’anni fa, nel 1995, alle cartiere dell’Acquasanta con il manifesto firmato da Gillo Dorfles, Mario Persico, Francesco Pirella ed Edoardo Sanguineti. Con l’auto pubblicazione il neofita, ma anche l’autore che decida di non cedere i diritti della sua opera può editare i suoi libri, usando una tipografia e/o il web. Il mercato si riduce, ma il ricavato del prezzo di copertina è tutto il suo. Oppure può ricorrere agli specialisti. I più affidabili nel campo sono i siti narcissus.me e lulu.com. Qui paga la capacità di promozione dell’autore: fare branding.

 


 

lunedì 5 gennaio 2015

COMUNI. CASTELMAGNO RESTA PER LA FONDUTA NON PER LA FUSIONE


Il numero dei comuni italiani è passato da 8.057 a fine 2014 a 8.047 dal primo gennaio. Erano 8.103 nel 1995. In dieci anni solo 56 in meno. Eppure abbiamo 134 comuni sotto i 150 abitanti. I 25 più piccoli, meno di 78 abitanti sono tutti a Nord Ovest. Ci sono pure Castelmagno, che anche se sparisse come comune resterebbe nel cuore e nelle tavole degli italiani per il suo formaggio dop. O Moncenisio più celebre per il passo che per il municipio.
Dal 2000, quando entrò in vigore il testo unico sugli enti locali, si sono sprecati profluvi di convegni, tavole rotonde, seminari, studi, progetti, parole che se usate per fare atti amministrativi concreti avrebbero portato i comuni ad un numero più congruo.
Il 91,4% dei comuni d’Italia è sotto i 15.000 abitanti. Soglia minima per avere un’amministrazione che si possa reggere economicamente.
In 699 comuni, di cui circa 580 non erano capoluogo di provincia, risiede la maggioranza degli italiani, pari al 52,4%. Portare i comuni a 1.500/1.800, sopprimere davvero le province e unificare le regioni in 7 aree (Subalpina, Adria, Appennino, Centro, Meridione, Sicilia e Sardegna) questa sarebbe una riforma risparmiosa e di buon senso.
Per ora siamo alle briciole. Il calo più consistente c’è stato l’anno scorso, quando erano stati istituiti 24 nuovi comuni a seguito di fusioni che ne hanno soppresso 57. Con un saldo negativo di 33 enti. Resta in forse il comune di Mappano, rinviato dal TAR Piemonte alla corte costituzionale, perché la scissione da Settimo torinese è stata considerata illegittima.
La fusione più importante è avvenuta in Emilia nella Val Samoggia, dove 5 comuni hanno dato vita al nuovo municipio, Valsamoggia, che conta quasi 30 mila abitanti. La fusione più piccola in Lucchesia dove il nuovo comune di Fabbriche di Vergemoli, mette insieme i due comuni omonimi, per un totale di 820 abitanti. Poco lontano, all’estremo nord della Garfagnana, Sillano e Giuncugnano dal primo gennaio 2015 si sono fusi, conservando il doppio nome, per un totale di 1.150 anime residenti. Alla stessa data, sette comuni sono stati soppressi per la nascita di tre nuovi in provincia di Trento e altri due che si sono uniti in provincia di Udine.
Che poi vien da ridere che continuiamo a parlare di province, quando 10 sono già sparite dando vita allo sconcio della città metropolitane e le altre sono alla canna del gas o tenute in vita artificialmente con il polmone meccanico.
Fra 2014 e inizio 2015 le regioni interessate a processi di fusione di comuni sono state: Emilia-Romagna (4), Friuli-Venezia Giulia (2), Lombardia (9), Marche (2), Toscana (8) e Veneto (1) Trentino (3).