mercoledì 21 maggio 2014

VACANZE. SE L’ON-LINE CI FA SPENDERE DI PIÙ…


 
Chi non ha mai prenotato una vacanza o un albergo con Expedia o Booking? Chi non ha mai dato uno sguardo ai giudizi di Tripadvisor? Davvero pochi. I motivi? Si risparmia e sono affidabili. Ovvio. Ma fanno davvero risparmiare e sono così affidabili? Dopo gli antitrust viaggi di Regno Unito, Germania e Norvegia anche l’antitrust italiano ha avviato un'istruttoria per verificare la presenza di intese restrittive della concorrenza attraverso gli accordi siglati con gli alberghi.
La segnalazione era arrivata da Federalberghi, perché Booking ed Expedia “limitano la concorrenza sul prezzo e sulle condizioni di prenotazione tra i diversi canali di vendita, ostacolando la possibilità per i consumatori di trovare sul mercato offerte più convenienti".
Le strutture devono lavorare in esclusiva con i colossi on-line, vincolate secondo l’antitrust: “a non offrire i propri servizi alberghieri a prezzi e condizioni migliori tramite altre agenzie di prenotazione online e in generale tramite qualsiasi altri canale di prenotazione siti web e alberghi compresi".
Le clausole imposte agli alberghi rendono difficile l'ingresso di nuovi concorrenti sul mercato, danneggiando in primo luogo i consumatori. L'istruttoria durerà più di un anno e si concluderà entro il 30 luglio 2015. Le due aziende rischiano una sanzione fino al 10% del fatturato. 
I guai per Tripadvisor arrivano dalle segnalazioni dell'Unione Nazionale Consumatori e l'Authority guidata da Giovanni Pitruzzella ha deciso di avviare un procedimento per pratica commerciale scorretta. La verificare è sulle misure per prevenire e limitare le false recensioni 
"Non solo - spiega Dona dell’UNC - anche Tripadvisor avrebbe tutto l'interesse a garantire l'attendibilità dei giudizi, pur preservando la libertà della Rete, per evitare che un'idea geniale, nata per sfruttare a pieno lo spirito di condivisone di Internet, imploda su se stessa con il sospetto di essere ispirata a logiche di interesse e magari anche da interessi anticoncorrenziali".

mercoledì 14 maggio 2014

SICILIA. DIRIGENTI INCAPACI, DIPENDENTI FANNULLONI


La Sicilia come tutta Italia non riesce a spendere i nostri soldi, che l’Europa ci torna sotto forma di fondi. Perché? Anche per carenza di personale. Come? La regione Sicilia ha poco personale, Ma non sono 18.000? Sì, ma pure maldistribuiti. A Palermo uffici di importanza strategica come i dipartimenti nei quali si programma ed attua la spesa dei fondi comunitari sono sottodimensionati. In compenso gli uffici periferici degli assessorati all’agricoltura o al lavoro, traboccano di impiegati.
Che ci fanno 1.582 addetti in 57 centri per l’impiego sparsi in tutta l’isola? Che carico di lavoro hanno? Quanti disoccupati hanno avviato al lavoro in una regione con 27% delle famiglie alle prese con disoccupazione e gravissime difficoltà lavorative?
I CpI in Sicilia sono più numerosi d’Italia. La Lombardia ne ha 54 con il doppio di abitanti ed una struttura economica incomparabilmente più solida e articolata. Il numero degli addetti nei CpI siciliani è però quasi triplo rispetto a quelli delle Regioni Lombardia (577) e Lazio (602). Più che doppio rispetto alla Campania (724).
Perché non destinare una parte dei 1.600 impiegati dei CpI ad attività più strategiche? Senza licenziare, senza penalizzare ma razionalizzando i servizi e valorizzando le persone.
Tuta colpa della politica e dei dirigenti? Leggete anche questa. Dei 18.000 dipendenti regionali, nessuno ha risposto all’appello dell’assessorato alla formazione, che cercava esperti social media, blogger grafici, coordinatori per attuare strategie comunicazionali. Il censimento interno si è rivelato un flop clamoroso perché non prevedeva alcun compenso aggiuntivo allo stipendio.
Piuttosto che lavorare hanno preferito rimanere a fare i finti bidelli, i finti uscieri, i finti forestali, i finti becchini, i finti e basta. Nessuno ha voluto lavorare meglio, nell’ambito dell’orario di lavoro, con un’attività più vicina ai loro interessi. A meno che non siano tutti analfabeti digitali. Allora perché mantenerli con i soldi pubblici? Tornino a scuola a studiare, e si paghino pure i corsi.

GIORNALI. ARTICOLI BREVI O SARANNO CESTINATI


Volete vedere pubblicata una vostra notizia su un quotidiano? Prima regole scrivere solo il necessario. Cioè molto poco. Ridurre al massimo le parole inutili, avverbi, aggettivi etc. I giornali sono in crisi, non hanno il personale sufficiente per i "taglia e cuci". I pezzi troppo lunghi sono cestinati senza neppure essere letti. Anche e l'Associated press, la più grande agenzia di stampa del mondo raccomanda ai suoi reporter: articoli più brevi.
L’AP ha posto un limite tra 300 e 500 parole per notizia. Uniche eccezioni, due top news per ogni stato americano, che possono arrivare a 700 parole come le storie internazionali più importanti della giornata.
"Dobbiamo essere disciplinati - spiega il direttore Kathleen Carroll - molti abbonati AP (15.000 giornali, siti web, radio e tv nel mondo) non hanno più giornalisti sufficienti a tagliare i dispacci per impaginarli su giornali con meno pagine. Per i lettori, che ricevono su telefonini e tablet, i lunghi articoli sono diventati di difficile digestione”.
Questa news è di 170 parole. 900 caratteri. Mezza cartella.


 
 
 

lunedì 12 maggio 2014

ICT. I GIOVANI USA GETTANO LA SPUGNA PER LA TV E MANDANO KO ANCHE LA RADIO


I millennial americani (i giovani nati fra gli anni '80 e i primi del nuovo millennio) sembrano aver abbandonato i media tradizionali sin da quando imparavano a leggere. È il risultato di un'analisi congiunta effettuata da una piattaforma di social influence marketing, Crowdtap, che opera sul web e dalla società di ricerche Ipsos. Lo racconta Max Knoublach su Mashable.com. Quelle generazione, dai 12 ai 34 anni, ritengono più affidabili i contenuti non professionali rispetto a quelli prodotti dai professionisti dell'informazione.
I cosiddetti UGC, i contenuti generati prodotti dagli utenti, includono aggiornamenti di stato, blog, recensioni di ristoranti, ecc., qualsiasi contenuto fatto da non professionisti, senza alcuna reale motivazione che non sia quella di aggiungere un parere al mare di opinioni già esistenti. “La logica - osserva Max Knoublach - ci dice che non sarebbe il tipo di contenuto di cui ci dovremmo fidare di più rispetto all'intervento di un professionista”.
Al contrario, lo studio rivela che fra i millennial in generale la fiducia nei primi è il 50% superiore a quella nei secondi. Se poi per quanto riguarda le recensioni i giovani giudicano alla pari UGC e contenuti professionali, si affidano per il 20% in più ai primi quando si tratta di fare un acquisto e li ricordano per il 35% in più rispetto ai media tradizionali.

Fra i media tradizionali, la carta stampata con il 44% è ritenuta più affidabile, rispetto a radio 37% e tv 34%. Vicino ai social network 50%, ma lontana dal 74% riconosciuto alla conversazioni con gli amici. I millennial americani si affidano alle UGC più per gli acquisti elettronici (59%) che non per programmare una vacanza (40%)