sabato 3 ottobre 2020

BASTA IL QI PER CAPIRE CHI È SVANTAGGIATO?

Sbaglia chi fa rientrare la disabilità intellettiva-relazionale all'interno del ritardo mentale. Lo sviluppo di alcune persone è caratterizzato da un percorso più lento di quello tipico e che da questo ritardo ne consegue un profilo cognitivo diverso.


La disabilità intellettiva, a volte anche affettiva, è una forma di carenza, lieve o grave, che insorge per cause naturali o meno. Può essere per l’ambiente poco stimolante, la mancanza di una cerchia stabile di affetti, un incidente, un trauma o per demenza. Ma qui entriamo nei casi più gravi

Quelli che la letteratura  chiama severi e con un quoziente intellettivo (QI) tra 50 e 70 e possono presentare anche complementari difficoltà adattive. 

Se le scale di rilevamento sanitario verificano un intervallo del QI tra 70 e 75 si parla di disabilità media. Quando il QI non supera gli 80 la disabilità intellettiva è lieve.


Cos’è il QI? Il rapporto tra l'età anagrafica e l'età mentale di una persona.

 

Un discorso a parte meriterebbe l’autismo anche se la letteratura lo colloca all’interno della disabilità intellettivo-relazionale.


Anche il mondo della scuola è toccato da tantissime disabilità intellettive: dagli studenti con sindrome di Down, ai vari tipi di disturbi specifici dell'apprendimento o bisogni educativi speciali. La dislessia, la disgrafia ovvero problematiche legate alla lettura o alla scrittura. Variante della disgrafia è la disortografia che riguarda coloro che non rispettano regole di trasformazione del linguaggio parlato in linguaggio scritto non imputabile alla mancanza di esperienza o a deficit motori o sensoriali. 


Un mondo complesso che riguarda una popolazione molto più ampia di quella che appare e che le differenze sociali, anche dovute ai fenomeni migratori incontrollati, agli inserimenti sociali poco seguiti corrono il rischio di aumentare e di acuire il disagio sociale e il fastidio verso i diversi, gli svantaggiati i più deboli.




CRISI. IL SUD SI SPOPOLA. PERDE UNA CITTÀ COME PALERMO E IL RECOVERY FUND RITARDA


Anche nel 2019 il calo della popolazione si è concentrato  prevalentemente nel Mezzogiorno (-6,3 per mille). Prosegue così la tendenza che ha visto dal 2014 al 2018, diminuire la popolazione italiana di 677 mila persone: una perdita pari alla scomparsa di una città grande come Palermo. 

Nel capoluogo siciliano vivono oggi poco più di 660.000abitanti. La popolazione è in calo da almeno un quarto di secolo: i residenti nel 1990erano oltre 734 mila.

Scappano tutti. Così in dieci anni Palermo ha perso altri 30 mila abitanti. 


È senza freni anche il fenomeno delle migrazioni interne, secondo l’Istat infatti negli ultimi anni 1 milione e 300 mila persone hanno abbandonato il Sud Italia. Dal 2000, il totale di chi  ha lasciato il Mezzogiorno sale 2,1 milioni, la metà dei quali giovani fino a 34 anni, quasi un quinto laureati.

Il fenomeno però ha riguardato tutte le fasce di età, compresi gli over 65. Anche se la maggior parte delle persone che hanno lasciato il mezzogiorno appartengono alla fascia tra i 20 e i 45 anni di età.

La causa di questo fenomeno migratorio è l’assenza di lavoro.


Il fenomeno migratorio è aumentato soprattutto tra i giovani con la laurea in tasca: tra il 2000 e il 2012 infatti la percentuale di giovani che si sono spostati al nord o all’estero è passata dal 10,7% al 25%. Le previsioni in relazione ai sistemi locali del lavoro indicano poi che dal 2020 al 2050 il Mezzogiorno perderà quasi 2,7 milioni di persone, di cui 900 mila solo nelle tre province metropolitane di Napoli (- 439 mila), Bari (-322 mila), Palermo (-152 mila), a fronte di una crescita di oltre 4 milioni di abitanti nel Centro-Nord,


L’aumento del gap occupazionale tra Nord e Sud, la riduzione della natalità, l’emigrazione, l’invecchiamento, anche se il Sud ha ancora un età media più bassa, offrono un quadro impietoso e preoccupante 

La pandemia avrà degli effetti negativi che ancora non possiamo ancora calcolare. Il ritardo ormai probabile con cui arriveranno le risorse del Recovery Fund non fa che acuire le preoccupazioni.