martedì 19 marzo 2013

PROVINCE. LA SICILIA LE CHIAMERÀ CONSORZI, CHE RIFORMA!



L’abolizione delle province siciliane è il titolo del’ultimo episodio della commedia all’italiana. “La Regione, con propria legge, istituisce i  consorzi  di comuni per l'esercizio delle funzioni di governo  di  area vasta, in sostituzione  delle  Province Regionali (mi raccomando la P e la R maiuscole!) e non si procede all'indizione e allo svolgimento delle elezioni provinciali. … disciplina,  inoltre, l'istituzione nel territorio della Regione  delle città metropolitane (Palermo, Catania, Messina)”.  Così l’art. 1.
Si chiameranno consorzi, ma la novità rispetto alla legge di spending review e salvItalia non si scorge. I consorzi avranno un presidente e un consiglio come previsto nei decreti Monti, e a loro “è attribuito il   compito  di  garantire  l'esercizio  delle  funzioni amministrative  di area vasta, laddove non  svolte  dalle città   metropolitane  delle  quali  è  altresì  prevista l'istituzione”.
La relazione introduttiva della giunta Crocetta alla legge spiega: “il risparmio annuo a regime, stimabile in base  ai dati  di  consuntivo 2010 (impegni), è pari a complessivi di 50.491.843 di euro. In base all'attuale situazione  e tenuto  conto delle scadenze naturali dei mandati si  può stimare, in via prudenziale, un risparmio per il  settore degli enti locali pari a circa 29.450.000 euro”.
Difficile capire  da cosa derivino i risparmi, visto che  personale e i suoi costi restano, le spese per le funzioni - consorzi o nuove province - ci saranno comunque. I risparmi dovrebbero arrivare dai costi della politica, che peraltro sono già azzerati (niente giunta, niente compensi) dal salvItalia. Possibile che sei province (escluse le future tre città metropolitane) spendessero quasi 5 milioni di euro all’anno per foraggiare la politica?
Insomma, una legge, e tanto clamore, per fare quello che già, a livello nazionale, è stato già deciso. Inoltre tra i 282 emendamenti con cui è stato sommerso il ddl (disegno di legge) ce n’è uno, proprio della giunta, per aumentare i consorzi da sei (Trapani, Agrigento, Caltanisetta, Enna, Ragusa e Siracusa) a otto, con l’aggiunta di Gela e Marsala. Costeranno poco, ma non sono a costo zero. E comunque oggi non ci sono.
Intanto l’unione delle province siciliane (UPS) ha presentato una sua proposta di legge: “Il tema dell’abolizione è solo fumo negli occhi per l’opinione pubblica – ha dichiarato Giovanni Avanti presidente dell’UPS –  con l’unico scopo di distogliere l’attenzione dai veri sprechi che sono tutti dentro la regione siciliana e i suoi tanti enti collegati. Se si dovesse ragionare in base ai numeri e all’efficienza dei servizi resi ai cittadini dovremmo parlare di abolizione della regione piuttosto che delle province”.
Non basta oltre il fuoco incrociato di Udc e Pdl, il commissario dello Stato Carmelo Aronica ha emendato, per incostituzionalità, alcuni punti del ddl Crocetta, cassando anche i primi settanta emendamenti presentati al disegno di legge governativo. Emendamenti che già il giorno dopo erano 194 per poi salire al vertiginoso numero di 282. Tanto che il presidente della prima commissione ha dichiarato: “Mi auguro  – ha detto  appunto Marco Forzese – che nel vertice di maggioranza si trovi la quadra attorno a questa riforma ed auspico che a sala d’Ercole il governo Crocetta si presenti con un maxiemendamento condiviso”.
La riforma delle province siciliane tarda ad arrivare, nonostante si stia cercando di fare di tutto per dare in pasto all’opinione pubblica una legge “al massimo entro la settimana prossima”, come ha detto il presidente dell’assemblea Giovanni Ardizzone, e nello specifico entro il 26 marzo, “data in cui la riforma – ha detto l’assessore alle autonomie locali, Patrizia Valenti – dovrà essere già pubblicata”.
Perché tanta fretta? Per non cambiare nulla.

lunedì 18 marzo 2013

SENATO. GRASSO CHE COLA DAI 5 STELLE AL PD

Se ti dissoci e voti con me sei un uomo, o una donna, libero. Se ti dissoci da me sei un farabutto. Questa la logica che troppo spesso accompagna i giudizi sul voto dei “dissidenti”.


La disciplina parlamentare non l’ha inventata Beppe Grillo e neppure il Movimento 5 Stelle. I gruppi politici alla camera e al senato nascono per rendere più agevole la gestione dei lavori e sono previsti dai regolamenti dei due rami del parlamento. Gli eletti in una lista, se arrivano al numero previsto, si costituiscono in gruppo, altrimenti aderiscono al gruppo misto.
Il gruppo, tramite il capogruppo o un suo incaricato, dichiara l’intenzione di voto. Nello scorsa legislatura il parlamentare che più spesso si è dissociato dal voto del gruppo è Domenico Scilipoti, non proprio un esempio unanimemente riconosciuto, che nei suoi giri dall’Idv di Di Pietro ai “Responsabili” a “Popolo e territorio” ha votato una volta su 5, oltre il 20%, contro le indicazioni del suo gruppo. E poi guarda caso è stato imbarcato dal PdL.
Non a caso chi si è dissociato più spesso, come la senatrice Poli Bortone, i parlamentari Furio Combo, Maria Antonietta Farina Coscioni o i radicali eletti nelle liste del PD non sono stati ripresentati in quest’ultima tornata.
A questo punto stupisce meno la reprimenda di Beppe Grillo, leader esterno, a quel manipolo di senatori che dopo aver partecipato alla riunione del gruppo che aveva deciso l’astensione per l’elezione del presidente del senato poi hanno votato per Grasso eletto nel PD e proposto dal suo partito.
Nel caso in questione non si può invocare la libertà di mandato perché i senatori hanno accettato la decisione del proprio gruppo. Non è etico votare in libertà dopo che ci si è rimessi alla decisione del gruppo.

sabato 16 marzo 2013

TAGLIO ALLE REGIONI E ALLE PROVINCE. SHOCK ISTITUZIONALE


 
Non 36 di meno come previsto dal governo Monti, ma 36 in tutto (comprese le regioni) questa la proposta-shock che fa la Società geografica italiana. Un ente scientifico nato nel 1867. Un taglio netto di 20 regioni, 10 città metropolitane, 2 province autonome e altre 71 ordinarie. Un’operazione di architettura costituzionale che richiede una riforma del titolo V e una legge ad hoc con doppia lettura da parte delle camere.

Piemonte diviso in due. Lombardia in tre con l’inserimento di Verona, ma perde Lodi e Cremona che vanno con Parma e Piacenza. Il resto dell’Emilia in due parti, con Ferrara che si unisce a Rovigo, mentre il Veneto residuo si coagula attorno a Padova. Per restare solo al nord: Spezia va con la Toscana tirrenica. Una rivoluzione.

I risparmi sarebbero enormi, ma l’obiettivo è più ambizioso: “La nuova mappa porterebbe vantaggi a livello di riduzione di costi della politica e di gestione territoriale, ora troppo frantumata nel caso delle province e troppo squilibrata nel caso delle regioni” ha dichiarato il presidente della Società geografica, Franco Salvatori. “Se guardassimo al passato –l’Ansa riporta le parole di Salvatori – questo piano non sarebbe attuabile, viste le enormi resistenze territoriali che si sono sempre manifestate, ma la crisi economica richiede innovazione”.

Soluzione più radicale della proposta fatta ad inizio anni Novanta dalla Fondazione Agnelli che prevedeva la nascita di 12 macroregioni o quella quasi contemporanea del professor Miglio che ipotizzava tre realtà: Padania al nord, Etruria al centro e Enotria al sud, ma entrambe con la sopravvivenza delle province.

La soluzione della Società geografica italiana (www.societageografica.it) elimina i confini regionali,  e riduce di due terzi le province. La proposta per il riordino territoriale dello Stato nasce dagli studi che nel corso degli ultimi vent’anni la Società stessa ha sviluppato a partire dal “progetto 80”. Quando si immaginò di ridisegnare l’assetto italiano per adeguarlo alla modernizzazione del sistema insediativo e dell’apparato produttivo.

Le risultanze sono riprodotte in maniera schematica nella mappa in fondo al testo, che costituisce la variante principale di un assetto che conta 36 entità territoriali definite “eco-sistemi urbani”. Le nuove circoscrizioni sono state delimitate sulla base della messa in rete di realtà urbane contigue (gli attuali capoluoghi di provincia), legate da forti interazioni funzionali e tali, dunque, da identificare la maglia base della stessa organizzazione territoriale italiana.

Gli assetti delineati sono stati tracciati a partire dalle reti infrastrutturali (legate alla mobilità, ai trasporti e alle comunicazioni), presenti sul territorio o in avanzata fase progettuale incrociate con le interazioni tra l’ambiente e la società secondo un modello geografico in progressiva evoluzione. La logica seguita è stata quella della potenzialità organizzativa e decisionale delle singole città e del sistema che lo costituiscono. In questa fase progettuale non è individuata la città egemone sulle altre e le linee di confine prescindono dalla configurazione regionale.

Si tratta di organismi politico-amministrativi sostitutivi delle attuali province e delle attuali regioni. Lo schema ricomprende anche le “aree metropolitane”, così come sono state definite negli ultimi provvedimenti di legge e finora mai rese operative.

Il federalismo troverebbe una più compiuta attuazione, senza lo spezzettamento legislativo compiuto dalle regioni. Allo Stato il compito di legiferare, alle nuove province quello di programmare e gestire i servizi di area vasta. Ai comuni la funzione gestionale propria. Ai nuovi enti anche i patrimoni, risorse e personale delle regioni e delle province soppresse.

 

Queste le province previste dal piano Monti per le regioni a statuto ordinario:
PIEMONTE (4). Torino (Città metropolitana); Cuneo; Alessandria e Asti; Vercelli, Biella,  Verbano/Cusio/Ossola e Novara.
LOMBARDIA (7). Milano (Città metropolitana); Brescia; Bergamo; Pavia; Como, Varese, Monza/ Brianza; Lodi, Mantova e Cremona; Sondrio e Lecco.
VENETO (5). Venezia (Città metropolitana); Vicenza; Verona; Rovigo e Padova; Belluno e Treviso.
LIGURIA (3). Genova (Città metropolitana); La Spezia; Savona e Imperia.
EMILIA ROMAGNA (5). Bologna (Città metropolitana); Modena e Reggio Emilia; Parma e Piacenza; Ferrara; Ravenna, Forlì/Cesena e Rimini.
TOSCANA (4). Firenze (Città metropolitana), Prato, Pistoia; Grosseto, Siena; Arezzo; Lucca, Massa/Carrara, Pisa e Livorno.
UMBRIA(1). Perugia e Terni.
MARCHE (3) Ancona; Pesaro/Urbino; Ascoli Piceno, Macerata e Fermo
LAZIO. Roma (Città metropolitana); Frosinone e Latina; Rieti e Viterbo (3).
ABRUZZO (2). L'Aquila e Teramo; Pescara e Chieti.
MOLISE (1). Campobasso e Isernia.
CAMPANIA (4). Napoli (Città metropolitana); Salerno; Caserta; Avellino e Benevento.
BASILICATA (1). Potenza e Matera
PUGLIA (4). Bari (Città metropolitana); Lecce; Foggia, Barletta/Andria/Trani; Taranto e Brindisi
CALABRIA (3). Reggio Calabria (Città metropolitana); Cosenza, Crotone; Catanzaro e Vibo Valentia

Ecco la mappa pubblicata dal Corriere.it

 Per quanto riguarda le regioni a Statuto speciale, la Sardegna ha deciso, con un referendum, di dimezzare le province, tornando a 4 (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano). La Sicilia vaglia un disegno di legge che prevede 3 città metropolitane (Palermo, Catania e Messina) più 8 consorzi di comuni (le altre 6 province - Trapani, Agrigento, Enna, Caltanisetta, Ragusa, Siracusa - più Gela e Marsala). In Friuli Venezia Giulia dovrebbero rimanere le 4 attuali (Trieste, Udine, Pordenone, Gorizia), ma con compiti consultivi. Nessuna modifica è prevista per Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige (Bolzano e Trento).
 

Questa invece la suddivisione in 36 prevista dalla Società geografica italiana:
 

Aosta, Vercelli, Novara, Verbano/Cusio/Ossola

Torino

Cuneo, Alessandria, Asti (ex Piemonte).

Genova, Savona, Imperia (ex Liguria).

Varese, Como, Lecco, Sondrio, Bergamo

Milano, Pavia, Monza/Brianza

Brescia, Verona, Mantova (ex Lombardia).

Venezia, Padova, Vicenza, Treviso, Belluno

Rovigo, Ferrara (ex Veneto).

Trento, Bolzano (Trentino Alto Adige).

Udine, Trieste, Gorizia, Pordenone (Friuli Venezia Giulia).

Piacenza, Lodi, Cremona, Parma

Bologna, Reggio Emilia, Modena

Ravenna, Forlì/Cesena, Rimini (ex Emilia Romagna).

Spezia, Massa/Carrara, Lucca, Pisa, Livorno

Firenze, Prato, Pistoia, Arezzo

Siena, Grosseto (ex Toscana).

Perugia, Terni (Umbria).

Ancona, Pesaro/Urbino, Macerata, Fermo, Ascoli Piceno (Marche).

Roma, Viterbo, Rieti

Latina, Frosinone, Isernia (Lazio).

Aquila, Pescara, Chieti, Teramo (Abruzzo).

Campobasso, Foggia

Bari, Barletta/Andria/Trani

Taranto, Brindisi, Lecce (ex Puglia).

Napoli, Caserta

Salerno, Benevento, Avellino (ex Campania).

Potenza, Matera (Basilicata).

Catanzaro, Cosenza, Locri, Vibo Valentia

Reggio Calabria (Calabria).

Messina

Palermo, Trapani

Agrigento, Ragusa Caltanisetta, Enna

Catania, Siracusa (Sicilia).

Cagliari, Oristano, Iglesias/Carbonia, Medio Campidano, Ogliastra

Sassari, Nuoro, Tempio/Olbia (Sardegna).

giovedì 14 marzo 2013

PAPA FRANCESCO NON È D’ASSISI VIENE DALLA FINE DEL MONDO



“Un papa scelto alla fine del mondo”. Il riferimento di Jorge Mario Bergoglio è a Ushuhaia nella Terra del fuoco argentina - a sud della Patagonia - la città più meridionale al mondo. Fin del Mundo (Finis Terrae) per i suoi abitanti. Non è questa l’unica frase che va spiegata e interpretata nel saluto papale del primo pontefice americano. Anzi latino-americano con chiare origini italiane. Ben radicate nell’ex regno di Sardegna.

Il padre nato a Torino, ma originario di Bricco Marmorito frazione di Portacomaro stazione nell’astigiano, la mamma Regina Sivori genovese, con un cognome tipico del chiavarese. Forse lontani parenti di Omar Sivori, l’angelo dalla faccia sporca che vestì la maglia di Juventus e Napoli fra gli anni ’50 e ’60. Però El cabezon giocò nel River Plate, mentre il papa tifa ASLA (San Lorenzo de Almagro).

Non è l’unica confusione possibile. La più grave, in cui sono incorsi tutti i vaticanisti, è stato attribuire il nome Francesco al santo gesuita Francesco Saverio. Invece Jorge Mario Bergoglio - anche se è il primo papa gesuita della storia - ha detto di essersi ispirato ai poveri e alla pace nella scelta del nome e per questo al poverello di Assisi. I gesuiti e il loro primate, noto come il papa nero, rappresentano da sempre una sorta di alter ego nella chiesa romana. Fra questi, appunto Francisco Javier, nobile navarro, missionario nelle Indie e uno dei primi seguaci di Ignazio di Loyola. In questa chiave il nome scelto da Bergoglio indica anche l’evangelizzazione. Infatti papa Francesco ha richiamato i fedeli a pregare per la rievangelizzazione di Roma.

Altro punto da chiarire è che si sia sempre nominato come vescovo di Roma e non come papa della cristianità. Dai gesuiti argentini il giovane Bergoglio prese le distanze quando questi sposarono le teorie della liberazione in odore di eresia marxista. Da qui l’accusa che la sinistra argentina gli fa di essere stato vicino alla dittatura dei militari. Una sciocchezza colossale. Il nuovo papa si muove nell’ambito della tradizione, depreca il capitalismo finanziario e l’uso spregiudicato del danaro, dà grande valore alla carità.

Carità e preghiera. Ha da subito invitato la piazza gremita di fedeli e curiosi, a pregare prima unendosi a lui nel Pater, Ave, Gloria e poi da sola, in silenzio.

Ha esordito con un inusuale e informale: “Buonasera”. Se la buona sera si vede dal saluto … lo capiremo presto. Perché papa Francesco mette d’accordo i tradizionalisti e i progressisti. Era molto legato al cardinal Martini, lo è pure con il papa emerito.