martedì 11 marzo 2014

LEGGE ELETTORALE. LE BUGIE SUL VOTO DI PREFERENZA


-        Gli italiani hanno diritto di esprimere il voto di preferenza.
Nel 1991, con una maggioranza del 95,6%, gli elettori bocciarono il voto multiplo di preferenza. Nel 1946, la repubblica venne scelta dal 54,3% dei votanti. Nessuno si sogna oggi di far ripetere un giudizio come quello. Non c’è motivo di cambiare regola sulle preferenze che sono state bocciate in tempi molto più recenti e da una maggioranza quasi doppia
-        Gli italiani devono poter scegliere gli eletti con il voto di preferenza.
Indicare uno o più nomi in una lista chiusa proposta dai partiti non significa “scegliere gli eletti” ma esprimere un gradimento, una preferenza appunto - che pochi anche prima utilizzavano - rispetto a scelte già compiute dalle segreterie politiche. Inoltre i partiti hanno sempre usato la tecnica dei capilista con cui “invitavano” gli elettori ad esprimersi a favore dei “più nominati fra i nominati da loro”.
-        Un parlamento di nominati non è democratico.
Il voto di preferenza, quando esisteva, vigeva solo alla camera dei deputati. Al senato, dal 1948 ad oggi, si è sempre votato per collegi con il nome del candidato, scelto o nominato fate voi, stampigliato sulla scheda su indicazione dei partiti. Nessuno ha mai detto che il senato non sia un organo democratico
-        Si è sempre votato con le preferenze.
Altra bugia. Non solo non si è mai votato con le preferenze al senato, ma neppure per i consigli provinciale. Eppure le provincie hanno funzionato democraticamente, con i consiglieri eletti per collegio, per oltre 60 anni. Anche in moltissime regioni vige il listino. Per cui una parte dei consiglieri eletti sono votati insieme al candidato governatore. Una volta votati sono consiglieri democraticamente eletti come gli altri.
-        La preferenza consente di scegliere il candidato migliore.
Non è vero neppure questo. I re delle preferenze Lauro a Napoli, Sbardella a Roma, Lattanzio a Bari, De Mita ad Avellino e così via non erano certo i migliori. Erano i più ricchi o i più corrotti. Potevano concedersi campagne elettorali faraoniche con cene luculliane, mega manifesti, santini a gogò. Promesse di lavoro, voto di scambio. Insomma il trionfo della corruzione.
-        Il deputato eletto con le preferenze è più libero di fronte al suo partito.
Sciocchezza mega galattica. I deputati non sono soggetti al vincolo di mandato. Cioè una vola eletti rispondono solo a loro stessi, se vogliono. Le prove recenti sono i dissidenti del M5Stelle, la scissione degli alfaniani, la precedete diaspora dei finiani di Futuro e Libertà. I continui cambi di gruppo, quasi un mercato delle vacche, fenomeno quasi sconosciuto nella prima repubblica. Quando si votava con le preferenze la disciplina di partito era molto più rigida.
-        La preferenza è il male assoluto?
Certo che no, ma è più spesso fonte di voto di scambio che scelta responsabile. Nell’attuale contesto sarebbe comunque un palliativo in mano ai partiti. Non a caso, oggi, sono a favore del voto di preferenza i partitini minori, che eleggerebbero non più di un deputato per circoscrizione. Anche con il voto di preferenza i candidato inseriti dal secondo all’ultimo posto in lista non avrebbero nessuna chance di prendere più preferenze del capolista scelto, cioè nominato, dalla segreteria nazionale.
Una soluzione, non certo l’unica, potrebbero essere primarie obbligatorie per legge per ogni lista che si presenti al voto. Con il conseguente inserimento dei più votati nelle liste dei rispettivi partiti in ordine casuale e indicazione di voto con preferenza singola.

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