Nella storia d’Italia le regioni non esistono. Salvo poche eccezioni:
la Liguria con la repubblica di Genova, il granducato di Toscana e la Sardegna
che sino al 1720 ha fatto storia a sé. Il dominio di Milano non ha mai coinciso
con la Lombardia geografia. Il Piemonte prima era con la Savoia, poi con
Sardegna e Liguria. La repubblica di Venezia comprendeva tre attuali regioni
più Istria e Dalmazia. Papato e Borboni hanno dominato sul resto dell’Italia.
Molte sono invenzioni geopolitiche: fra Piacenza e Rimini c’è un mondo, Matera
che c’entra con Potenza? Se le Marche e gli Abruzzi hanno un nome plurale un
motivo ci sarà! Esistono, invece, da sempre i comuni e le provincie dalla
riforma napoleonica dell’inizio del XIX secolo.
Le regioni complicano la vita con 20.000 leggi in vigore sulle 43.000
emanate. Numero che non tiene conto di Sardegna, Sicilia e Bolzano, di cui non
c’è neppure un censimento. Se per un cittadino sono un migliaio, per un’azienda
che operi su tutto il territorio nazionale questo comporta una conoscenza più
che enciclopedica, dai costi insostenibili. Leggi che sono quasi sempre in
contrasto con quelle nazionali. Tanto è vero che un terzo del contenzioso alla
corte costituzionale riguarda le liti fra regioni e stato. Rappresentano il 20% (inclusa la sanità) della spesa pubblica, che per il 60% (compresa la previdenza) è in capo allo stato e alle sue amministrazioni. Le provincie incidono solo per l’1,7%. Dal 2010 al 2013, le province hanno ridotto dell’11,8% la spesa corrente, mentre comuni (+5%) e regioni (+1,14%) hanno continuato a spendere di più. I 2.000 miliardi di debito pubblico sono colpa delle province per lo 0,4%. A fronte di 10,2 miliardi spesi per servizi essenziali, la politica provinciale è costata 78 milioni. Troppi, ma un’inezia e comunque molto meno dei 300 milioni di risparmio che, secondo Cottarelli e Renzi, arriveranno dalle auto blu.
Il personale costa 2 miliardi all’anno. In media meno di 30.000 euro pro capite. A parità, nella regioni, lo stesso dipendente riceve 37.500 euro (Sicilia e Bolzano esclusi!). In ogni caso, si parla di mobilità e non di licenziamenti per cui dove sta il risparmio? Se lo zucchero che non metto nel caffè lo uso per il cappuccino cosa cambia per le mie tasche?
Per abolirle bisogna riformare il titolo V della costituzione. Dal 2001 l’art. 114 afferma: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Nel 1947 invece diceva: “La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”. Maiuscole a parte, che rigurgitano fascismo con sommo spregio dell’ortografia, significa il completo ribaltamento del testo originario. Nel 1947 lo stato era identificato con la repubblica, la ripartizione era meramente amministrativa. Nel 2001 la repubblica assurge al ruolo di nazione che è costituita in modo paritario, partendo dal basso, dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo stato.
È evidente che nessun livello istituzionale può prevaricare gli altri. Neppure lo stato. Solo il parlamento, nel suo ruolo di revisore costituzionale con procedura fortemente aggravata come previsto dall’art. 138, può intervenire sulla materia.
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